lunedì 21 settembre 2009

Il Cigno di Mallarmé

 

STEPHANE MALLARMÉ

IL VERGINE, IL VIVACE, IL BELL'OGGI

Il vergine, il vivace, il bell’oggi d’un colpo
d’ala ebbra quest’obliato, duro
lago ci squarcerà, sotto il gelo affollato
dal diafano ghiacciaio dei non fuggiti voli!

Un cigno d’altri tempi si ricorda di sé
che si libra magnifico ma senza speranza
per non avere cantato l’aerea stanza ove vivere
quando splendé la noia dello sterile inverno.

Scuoterà tutto il suo collo quella bianca agonia
dallo spazio all’uccello che lo rinnega inflitta,
non l’orrore del suolo che imprigiona le piume.

Fantasma che a questo luogo dona il suo puro lume
s’immobilizza al gelido sogno di disprezzo
di cui si veste in mezzo all’esilio inutile il Cigno.

(da Poesie, 1887)


Nella poesia dell’Ottocento c’è un tema ricorrente: quello del Cigno – o del Condor, o dell’Albatro, si pensi a Baudelaire – come simbolo dell’esilio del poeta in mezzo agli uomini. In questo sonetto di Stéphane Mallarmé il Cigno assume anche una più complessa personificazione, quella della sterilità creativa, del talento geniale che rimane inespresso a a causa dell’irraggiungibilità dell’ideale troppo puro, perfetto, e quindi inesprimibile con mezzi umani. Non bisogna dimenticare che Mallarmé subì due lunghe crisi di sei anni: non scrisse nulla tra il 1867 e il 1873  e si dedicò alla meditazione tra il 1887 e il 1883.

Il primo verso, celebre in Italia anche perché è quello continuamento citato a Micol nel “Giardino dei Finzi Contini” di Giorgio Bassani, è stilisticamente perfetto: descrive l’insorgere della gioia subito tarpata nel suo volo. Così il poeta scopre con orrore che il suo talento creativo, che si sta per librare in volo verso l’Azzurro, i cieli più liberi, come uno splendido cigno bianco, è in realtà imprigionato nel ghiaccio del lago. La sola cosa che rimane da fare è contemplare dignitosamente la propria sconfitta, restando a rimirare la perfezione non raggiunta.

Un gelido distacco pervade tutta la poesia, come se il poeta non fosse in realtà quel Cigno che soffre e che lotta un’ultima volta: la maestria di Mallarmé dipinge quel paesaggio bianco, negazione del colore, e in particolare dell’Azzurro limpido del cielo, ma lascia trasparire tutto il suo disprezzo.

 

 Fotografia © Daniele Riva


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LA FRASE DEL GIORNO
Giorni miracolosamente colpiti da sterilità. Invece di rallegrarmene, di gridare vittoria, di convertire quell'aridità in festa, di vederli come un punto d'arrivo e come una prova della mia maturità, insomma del mio distacco, mi lascio pervadere dalla stizza e dal cattivo umore: tanto è tenace in noi il vecchio uomo, la canaglia smaniosa incapace di scomparire.
EMIL CIORAN, L’inconveniente di essere nati




Étienne Mallarmé, detto Stéphane (Parigi, 18 marzo 1842 – Valvins, 9 settembre 1898), poeta, scrittore e drammaturgo francese. Fu uno dei massimi esponenti della poesia simbolista. Nei suoi versi cercò di raggiungere la "poesia pura", mediante un linguaggio che, con ermetica oscurità, comunicasse al lettore attraverso la musicalità del ritmo e dei suoni e la suggestione delle immagini.


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