martedì 28 luglio 2009

Un’ode sublime



SAFFO 

SIMILE A UN DIO 


Simile a un dio mi sembra quell'uomo
che siede davanti a te, e da vicino
ti ascolta mentre tu parli
con dolcezza
e con incanto sorridi. E questo
fa sobbalzare il mio cuore nel petto.
Se appena ti vedo, subito non posso
più parlare:
la lingua si spezza: un fuoco
leggero sotto la pelle mi corre:
nulla vedo con gli occhi e le orecchie
mi rombano:
un sudore freddo mi pervade: un tremore
tutta mi scuote: sono più verde
dell'erba; e poco lontana mi sento
dall'essere morta.
Ma tutto si può sopportare...



CATULLO

CARME 51


Simile a un dio mi sembra che sia
e forse più di un dio, vorrei dire,
chi, sedendoti accanto, gli occhi fissi
ti ascolta ridere
dolcemente; ed io mi sento morire
d'invidia: quando ti guardo io, Lesbia,
a me non rimane in cuore nemmeno
un po' di voce,
la lingua si secca e un fuoco sottile
mi scorre nelle ossa, le orecchie
mi ronzano dentro e su questi occhi
scende la notte.


(da Carmina - Traduzione di Mario Ramous)



Simeon Solomon, “Saffo ed Erinna”


L’anonimo greco del I-II secolo dopo Cristo che scrisse un trattato sul “Sublime” sosteneva che nella poesia a prevalere sono le forze irrazionali. E per dimostrare la sua tesi parla di questa ode di Saffo, famosissima, in cui la poetessa, analizzando i tanti aspetti di una passione amorosa, spesso contraddittori tra loro, crea una perfetta unità di sentire e raggiunge il sublime. 

L’anonimo del Sublime spiega in che modo Saffo dimostra la sua geniale virtù: “Quando sa scegliere e legare gli uni con gli altri i culmini di tali sentimenti e i momenti più tesi… Non ti fa meraviglia, vedendo come d’un colpo, l’anima, il corpo, le orecchie, la lingua, gli occhi, la pelle, tutte le parti insomma, Saffo le vada recuperando, quasi non fossero sue, ma disperse; e nello stesso contraddicendosi è fredda e brucia e ragiona e vaneggia, (o teme di morire o già quasi è morta) al punto che pare che in lei ci sia non una sola passione, ma un incontro di passioni”.

Un amore raccontato attraverso sensazioni, in realtà non è chiaro se sia un’ode alla gelosia o alla passione. Quello che è probabile è che si trattasse di una scena che si ripeteva spesso nel tiaso, il “collegio” con finalità religiose, questo in particolare dedicato al culto di Afrodite, di cui Saffo era la sacerdotessa: le ragazze che venivano istruite, educate e preparate al matrimonio con l’insegnamento della danza, del canto, dell’amore, della ricerca dell’estetica raffinata in ogni cosa, a un certo punto erano pronte per la loro nuova vita e per il marito e abbandonavano il tiaso. L’addio era spesso straziante e la nostalgia fortissima. “…«Sinceramente vorrei essere morta». Ella versando grosse lacrime mi lasciava e questo mi andava ripetendo” recita un’altra poesia di Saffo e la poetessa di Lesbo così consola la ragazza: “Va sorridente e di me ricòrdati; tu sai quanto t’abbiamo avuta cara; e se non sai, ti voglio ricordare… e quante ore belle e soavi abbiamo trascorso; molte ghirlande di viole, di rose e di zafferano insieme, …accanto a me cingesti e molti serti, corone al morbido collo, intrecciate d’amabili fiori…”

Un’ode sublime, dunque, così considerata già nell’antichità, tanto che Catullo provò a tradurla in latino, ottenendo un risultato liricamente altrettanto elevato.




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LA FRASE DEL GIORNO
Il Sublime trascina gli ascoltatori, non alla persuasione, ma all'estasi: perché ciò che è meraviglioso s'accompagna sempre a un senso di smarrimento, e prevale su ciò che è solo convincente o grazioso, dato che la persuasione in genere è alla nostra portata, mentre esso, conferendo al discorso un potere e una forza invincibile, sovrasta qualunque ascoltatore.
ANONIMO, Trattato del Sublime




Saffo (Ereso, 630 a.C. circa – Leucade, 570 a.C. circa), poetessa greca antica. Di nobile famiglia, colta e raffinata, istituì un tiaso, un collegio per ragazze, dedicato al culto di Afrodite, in cui si educavano le fanciulle al matrimonio. La sua sensibilità poetica seppe penetrare nell’animo e nelle cose cogliendone l’essenza, tanto che Platone la definì “la Decima Musa”.


Gaio Valerio Catullo (Verona, 84 a.C. – Roma, 54 a.C.), poeta romano. È noto per l'intensità delle passioni amorose espresse, per la prima volta nella letteratura latina, nel suo Catulli Veronensis Liber, in cui l'amore ha una parte preponderante, sia nei componimenti più leggeri che negli epilli ispirati alla poesia di Callimaco e degli Alessandrini in generale.




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